Sistema - 1995
E’ un testo da recitare, o da
utilizzare per video-arte o istallazione audio/video. Al di là da qualsiasi
forma di applicazione, Sistema va interpretato nel modo seguente. Ogni coppia di versi va letta contemporaneamente: il primo verso da una
voce maschile, il secondo da una femminile, o viceversa. Ma simultaneamente,
cercando di distribuire le durate delle parole e le pause tra loro, in modo che
entrambi i lettori (attori o performers) inizino e finiscano di leggere assieme,
indipendentemente dalla quantità di parole dentro i corrispettivi versi.
*
L’attesa
dimentica il silenzio, dopo
innumerevoli
entità forse il destino, il dubbio.
Riempiendo
le assurdità di voci che
danno
melodia alla mia fantasia.
La
mente, il bisogno di appropriarsi del proprio
silenzio
e delle proprie contraddizioni.
L’appartenenza
ad un ordine spiegato che le
mani
abbracciano in una solitudine stanca.
Ridare
senso nascosto al fenomeno che la vita nell’
accadere
rappresenta uniformità che cresce via.
Il tempo
sottratto da tempi che sospetti, influenzati da
negative
allusioni, sbarazzano contenuti una volta coerenti.
Il
silenzio di questa scrittura una volta accaduta nell’
istante,
considerandosi perenne forma dell’inattesa idea.
Sentire
il colore del suono attraverso l’immaginazione
di
un’utopia allargata da meravigliose simpatie.
La legge
che parla della forza che accelera
altre comode
bugie, in te il dolore del cercare.
L’ascolto
predispone il piano per fondare piacere dell’
ombra che
calda, che tenera prevede insondabili misteri.
E se
adesso l’apparenza di tanto sentimento tocca pure il mare calmo di una
notte
abbandonata, decido di trattenermi il piano, di non spiegarmi nulla.
Se
smettessi di leggere le mie stesse parole, forse qualcuno o qualcosa
accentuerebbe
il sistema che questa attorcigliata ragnatela continua a tacere.
E
tacendo, obbligo la mia proprietà a cadere sotto altre spine,
altre
guglie di questo complicato organismo e di questo cuore.
Tenendomi
la certezza di questo male, scivolando al vuoto di
quella
stella, mi commuovo ancora; e lo so, sono troppo sincero.
La luce
che arriva all’indietro di un tempo troppo poco
amaro,
sente per me un destino che sfugge, che fugge.
Sempre
me, sempre la mia incalcolabile ironia, poi si assomma all’
incredubiltà
degli altri, alla tua esigenza di volermi così come sono.
Per
questo, l’esortazione di dimenticarmi, manifesta
intenzioni
che tu stesso non sai decifrare ancora.
Semplicità
lontana, limpidezza estrema, in un poema visivo che trasmette
indecisione
di volere sempre a metà, sempre incompleti anagrammi.
Se nella
menzogna accade lo sguardo che tutta la pelle, accarezzando
tutto di
me, colora, allora l’ascolto, e la voce, e la mano s’intona.
L’intonazione
di quella sonora identità è già nulla se ti
arrampichi
tra foglie e cespugli, se ti ammali tra le tue calamità.
La
dimensione dell’inattuabile impresa solleva dubbi e
frammentazioni
che la nostra sublime gelosia rimanda indietro.
Lo
scarto dell’enormità seguendo il percorso dell’
ombra,
diminuisce la speranza del movimento.
L’esigenza
di tanta crudeltà impone sapere, e la via
saggia
predispone all’autocoscienza, senza scampo.
Sentieri
andirivieni, tante ripetizioni
ossessive
per una qualche ideologia.
La
fantasia precede la tecnica in sedimentazioni
senza
storia, senza una reale o visibile teoria.
Le dita
si toccano selvagge al sincronismo dell’
energia
di questo sole generoso e morente.
La forma
disegnata di un astro che l’ombra parlata
riscatta
ad un’emozione obbligata dall’istinto.
La
sensazione che domani parlando
apertamente,
decifrando col discorso segreto.
La
dimensione prima dell’amore, il cuore seguendo la
carezza
e ricordando violenza subita s’ammala per te.
La
civiltà di questa crudeltà arriva al
limite,
dimenticando la natura, le ovvietà.
La
realtà s’interpreta attraverso l’attenzione che
si
supera, si analizza, si vendica del torto subito.
La
falsità di questa lettera conferma l’ipocrisia
sociale,
l’inutilità funzionale della scrittura.
E la
crisi che l’arte da tempo sovrasta all’ordine
di uno
schema, alla necessità sincera di un’idea.
Ingoiando
fantasticherie, moltitudini semantiche che segnano percorsi
indelebili,
indirizzano vizi e virtù, debolezze e asprezze indirette.
Il
mestiere del poeta, la porta spalancata apre l’incrocio che la spinta
incandescente
di questa sensualità accennata e così potente domina sempre.
Ascoltare
la nefandezza e perdersi dentro,
ascoltare
il dolore di tanta eccitazione.
Secondo
che si annulla nel tempo
disperso
di un’energia innaturale.
Ancora
tentativi che sul vuoto
trascorso
si sommano a perdersi.
La
solitudine che l’indifferente senso, indicando il
nemico
di sempre, sottolinea il beffardo, duplice mistero.
Comunicazioni
di un’ovvia osservazione dell’anima,
straripata
sotto gli alberi cresciuti in lontananza.
Laddove
si apre una voragine, si vuole
conoscere,
si vuole accrescere potenza.
Sentire
il colpo subitaneo di uno sparo
che
detta raggi di luce socchiusa.
E’
perché ancora questa ossessione che impone
letture
deboli a tanta realtà che trabocca sincera?
La sistemazione
prepara l’indagine, il percorso
illumina
la mente, la via che trascorre abbandonata.
Tratto
che influenza la lettura di parole strane,
la penna
che ruota sola intorno se stessa.
La
decisione di non volere più vedere quella odiosa
commedia
della realtà, quella frase organizzata da più parti.
Il
silenzio che circonda il volere sapere
ancora
nell’ottica meschina e senza punto.
Il
numero che solidifica apparenze, stringe il cuore
e piange
il sommo bene, l’irriducibile destino.
Di non
cercare altro da cui
Sottrarsi
e spedire l’ordine.
Ancora
incrociando le simmetrie di queste
romantiche
idee, di questi supposti pentagrammi.
La
gelosia implora amore, il bisogno di
affiancarsi
e parlare di esigenze, di parole.
Una
continua forma di rivelazione che questa
scrittura,
manifestando l’ultima intenzione, rapisce.
La
sintesi che l’oblio indica assorta
tramite
questo cielo imponente.
Il proseguimento
di un’idea che sprofondandosi
addosso,
l’emblema di questa mia desiderosa indulgenza.
La
compassione senza compromessi e senza condizioni
questa
mia severità nasconde intricate armonie.
La
Tradizione attorno, continuato messaggio
da
leggere, magniloquente testimone.
La
brevità poi di un movimento confuso senz’occhi
del cuore,
le dita intrecciate per me d’accordo.
Tradire
la bocca di parole deboli del senso
che mi
si vuole dare, dimenticando le vesti.
Cancellando
le falsi frasi, l’onore che il
mio
destino elencato da Dio trascende.
Senso,
volere toccare e sradicare di ovvie
conclusioni
il nascondiglio della conoscenza.
Come per
una immagine che il tempo sospeso
attende
all’ombra di un certo segreto.
Donando
la disposizione di una evocazione che
conosce
l’intuito, che paralizza l’immaginazione.
Impugnando
lo scettro antico, la tradizione che parla
forte,
l’entusiasmo di chi crede ancora alla ragione.
Oltre la
ragione volendo, la selezione di
una
sequenza che la musica intona lontana.
Quest’impressione
finisce dove il contorno dalla
tua
carnalità diminuisce, si relaziona al tutto.
Il
desiderio che l’ossessione rimanda, provvedendo all’
accennata
negazione di un sistema troppo poco organizzato.
Tristezza,
tristezza possiede, chi non si
attacca
all’ordine di quell’utopia sconfinata.
Se non
ritrovi il dubbio che accende luce un giorno
intero,
essenziale bisogno l’affetto sincero.
Niente
può ripetersi più di una volta, niente dura all’eterno di
questo
comportamento che l’obbligo riprende dal principio.
Dentro
il ricordo quell’occhio che forte avvampa della
crisi
sicura, il terrore di una stanca reazione quaggiù.
Va’,
volando dove il colore s’immerge del
bianco
compatto, in un’onda che l’attimo scorda.
Al posto
di un segnale indiretto la vita, smembrando
L’illusione
del cielo, riprende i suoi passi, secondo paura.
La
percezione che si ha di questo mare aperto fenomeno, là dove
misterioso
problema preoccupa il pensiero, donando altro dubbio.
Dicendo
una volta, ripetendolo ancora,
ridimensionandolo,
accerchiandolo.
Meschina
vicenda di desiderare inutili
perché
in fallimenti progressivi, finali.
La forza
della continuazione spenta dal fulgore
dell’innocenza
di una falsa immaginazione.
Gli
amari presagi che presentano
virtù
una volta troppo vere.
La
perfezione di una lettera al posto
che
merita l’oblio di tanta ipocrisia.
L’esecuzione
che la musica mandando
splendore,
le tenebre dissolte.
La morte
non può procedere nell’arbitrio
confuso
di un’ipotetica illusione.
Anche se
nella salvezza si comprendesse
l’aiuto,
il bisogno di concedersi all’altro.
Se nella
dimensione che ci si appresta ad intendere
attraverso
la dimenticanza, il candore celato.
Un
grande equilibrio della forma che
mantiene
in tempo la struttura.
La
creazione di una musica che si
faccia
forte e che istituisca dolore.
Il
numero manifesta tutta la grande
disposizione
per una controllata umanità.
Rischiando
incomprensione e falsità, rigorosa immagine
da dubbi
multipli di incatenate ritrosie all’aperto.
L’arrivo
di un fenomeno, la chiusura di
un amore
che mi obbliga il rapimento.
Ed io
che ubbidisco alla presa di un inspiegabile
desiderio
che in controluce mi condiziona.
Ancora
combinazioni di elementi dai quali si formi l’idea di
un’essenza
che questa mia creazione sveli addormentata.
Le
parole che si fanno importanti di quell’eco la
crisi
svelata, la mia intransigenza, come tu dicevi.
Perché
la vita o l’esistenza intera in uno sguardo
contempla
ancora l’esigenza di tanto splendore.
Di
rimanere solo e aspettare la fine di questo
suono,
di affiancarmi il silenzio e la via.
Del
resto mi butto l’indifferenza addosso e mi lego
i polsi,
leggo da solo il rigo di una musica lontana.
Silenzioso aneddoto di una madre
stanca di un candore falso e giallo.